I nostri smartphone ci spiano e ci propongono pubblicità mirate? Non è proprio così

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Quante volte abbiamo pensato che il nostro smartphone ci spii? Magari a cena, mentre parliamo con familiari e/o amici, abbiamo nominato dei prodotti che ci piacerebbe acquistare e pochi giorni dopo abbiamo notato delle pubblicità dello stesso prodotto all’interno di social network o app sul nostro smartphone. Anche se abbiamo la sensazione che i nostri telefoni ci spiino per proporci pubblicità rilevanti, dobbiamo prima tenere in considerazione alcuni aspetti. Vediamo quali.

Pubblicità mirate degli smartphone: le autorizzazioni delle app

Subito dopo aver scaricato ed installato una app all’interno del nostro smartphone, ci viene richiesto di autorizzare l’app ad accedere a tutti quei sensori e/o dati di cui l’app ha bisogno per funzionare correttamente. Un esempio banale può essere l’applicazione rubrica che non può funzionare correttamente senza avere accesso ai nostri contatti.

Vale la pena segnalare, tuttavia, che alcune app malevole potrebbero richiedere un numero di autorizzazioni superiori a quelli strettamente necessari al proprio funzionamento, da cui potrebbero derivare problemi di privacy. A prescindere dal brand produttore dello smartphone, vi è sempre, almeno nelle versioni più recenti del sistema operativo (Android o iOS), nelle impostazioni, una sezione privacy che ci consente di modificare (aggiungendo o revocando) la lista di autorizzazioni che forniamo ad ogni app installata all’interno del nostro dispositivo.

Per fugare i dubbi sull’utilizzo improprio del microfono e della videocamera, sia Apple in iOS che Google in Android hanno sviluppato una funzionalità che consente, quando il microfono o la videocamera vengono utilizzati, di mostrare nell’area notifiche un pallino colorato che ne segnala l’utilizzo.

E’ bene ricordare che “se non paghi un prodotto, il prodotto sei tu“. Infatti, la maggior parte delle app presenti nei principali store sono gratuite, questo significa che per sostenere gli ingenti costi derivanti dallo sviluppo delle applicazioni, società come Facebook, Spotify, Google e molte altre basano la ricerca dei propri profitti nella raccolta, e successiva rivendita, delle nostre informazioni. Tutto questo è, nella maggior parte dei casi, un processo legale, in quanto per utilizzare queste applicazioni ci viene richiesto di cliccare per accettare i termini e le condizioni di utilizzo.

Bias cognitivi

Vi è poi il tema dei cosiddetti “bias cognitivi”, i bias sono delle distorsioni che le persone attuano nelle valutazioni di fatti e avvenimenti, in particolare vi è il bias di conferma ovvero l’essere umano è portato, per natura, a ricercare conferme delle proprie convinzioni.

Questo tema va tenuto in considerazione, in quanto, se ci convinciamo che il nostro telefono sia una possibile “spia in incognito” tenderemo, inconsciamente, a cercare conferma di ciò rischiando di confondere casualità con causalità.

Cookies e dati nelle app

Come ultimo tema, ma non per questo meno impotante, da affrontare vi è quello dei cookies e dei dati raccolti dalle applicazioni in generale.

I cookies sono file che vengono salvati in locale sul dispositivo dell’utente e che un sito web può richiedere per accedere ad informazioni precedentemente scambiate col sito stesso. Un esempio classico è quello del carrello dei siti e-commerce, il sito anche se lasciato e visualizzato nuovamente dopo giorni ci ripresenterà il carrello con gli articoli che avevamo inserito in precedenza, questa “memoria” del sito web è possibile grazie all’utilizzo dei cookies.

Un sito e-commerce, ad esempio, avrà tutto l’interesse a raccogliere dati sulla nostra navigazione all’interno di esso (i cookies possono anche essere scambiati tra siti web diversi) per suggerirci prodotti affini alle nostre ricerche e consigliarci altri prodotti da acquistare basandosi sulla nostra cronologia di acquisti e ricerche.

Le nostre ricerche su internet, quindi, forniscono informazioni su chi siamo, su quali sono le nostre preferenze, sulla nostra composizione familiare, è ragionevole pensare, ad esempio, che chi cerca spesso articoli per bambini su Amazon abbia un figlio in età infantile: tutte queste informazioni vengono utilizzate per profilarci e suggerirci prodotti e servizi in linea con le nostre ricerche.

Conclusioni

In conclusione il confine tra l’utilità della profilazione e la violazione della privacy è spesso labile e complesso da identificare.

Sicuramente, negli ultimi anni, è stata posta dalle Big Tech una maggiore attenzione sul tema della privacy online (pensiamo ad esempio all’introduzione del banner per l’accettazione dei cookies all’interno dei siti web) grazie all’introduzione di strumenti che favoriscono una scelta maggiormente consapevole da parte dell’utente.

Il consiglio rimane quello di fornire alle app solo i permessi strettamente necessari alle loro funzionalità e controllare, per quanto possibile, le informazioni che gli  concediamo il tutto senza, però, lasciarci coinvolgere da una psicosi persecutoria che ci vede attori protagonisti della fame di dati delle applicazioni che utilizziamo maggiormente.